Il fatto che
l’espressione sia entrata nell’ultimissima versione dell’enciclopedia Treccani
non dovrebbe costituire motivo di vanto. Semmai, è la conferma di quanto il
problema sia oramai concretamente grave. Stiamo parlando dei “neet”,
l’acronimo che nella lingua inglese significa “not in education, employment or
training”. E idenfificano i giovani che non solo non hanno un lavoro, ma non lo
stanno nemmeno cercando e non frequentano corsi di aggiornamento.
Un fenomeno che
preoccupa tutta Europa in questo momento di recessione ancora profonda. Ma che
in Italia in particolare sta diventanto ancora più dirompente. Perchè
stiamo parlando di una generazione che si ritiene “senza speranza”, che vive
alla giornata, se non sulle spalle della famiglia di origine e non riesce a
realizzare piani per costruirsene una propria o comunque per la creazione di
una vita autonoma.
Il dato potrebbe essere
meno negativo se ci trovassimo di fronte a una realtà in movimento, di giovani
che non hanno lavoro al momento ma che si preparano per farsi trovare
attrezzati non appena ci sarà l’inversione della curva. Invece, una statistica
uscita pochi giorni fa ci fa temere che così non sia.
Il numero di
“neet” in Italia ha raggiunto la quota di più di 1,5 milioni.
Ma non solo. L’Ilo
sostiene che “seri problemi esistono anche riguardo alla qualità dei posti di
lavoro creati”. Dall’inizio
della crisi, la proporzione dell’occupazione a tempo determinato e a tempo
parziale è aumentata fino a raggiungere rispettivamente il 13,4% e il 15,2%
dell’occupazione totale. Inoltre, il 50% del lavoro a tempo parziale e il 68%
del lavoro a tempo determinato non è frutto della libera scelta dei lavoratori.
Forse anche per
questo i giovani si sono rassegnati.
http://pagni.blogautore.repubblica.it/2012/05/02/non-ce-lavoro-e-i-giovani-non-lo-cercano-piu/